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Verso Bruxelles
11.12.2025 - 04:10
In azienda agricola, a fine mese, non parlano i discorsi ma i numeri.
Fatture di mangimi, bollette dell’energia, rate delle macchine, spese per il personale: tutto finisce in fila sul tavolo o sullo schermo del computer.
Negli ultimi anni quella fila si è allungata e gli importi sono cresciuti. I costi di produzione sono saliti, spesso velocemente. I prezzi riconosciuti a chi produce, invece, non sempre hanno seguito lo stesso ritmo.
È da qui che nasce una delle preoccupazioni principali che gli agricoltori porteranno a Bruxelles il 18 dicembre: se i conti non tornano, non c’è futuro per le aziende, per le famiglie e per i giovani che vorrebbero restare in questo lavoro.
Sono diverse le voci di spesa che, negli ultimi anni, hanno visto salire gli importi:
Energia: elettricità per stalle e impianti, gasolio per i mezzi, consumi per il raffrescamento estivo e il riscaldamento invernale.
Mangimi e materie prime: i rincari internazionali hanno pesato molto sulle stalle da latte e da carne.
Fertilizzanti e prodotti per le colture: aumenti di prezzo e disponibilità non sempre garantita.
Lavoro: costo del personale e difficoltà a trovare manodopera qualificata.
Interessi e finanziamenti: in molti casi, tassi più alti sui prestiti accesi per macchine, stalle e impianti.
Per molte aziende questo significa che, per produrre la stessa quantità di latte, carne o cereali, oggi si spende molto di più rispetto a qualche anno fa.
Dall’altro lato ci sono i prezzi riconosciuti a chi produce.
Chi lavora in agricoltura lo sa: i mercati sono volatili, le quotazioni cambiano, a volte anche in tempi rapidi. Ci sono state fasi di prezzi più alti, ma spesso:
gli aumenti non sono stati sufficienti a coprire l’intero aumento dei costi;
i periodi di prezzo buono sono stati brevi, seguiti da nuove discese;
la capacità di “scaricare” a valle i costi di produzione è rimasta limitata.
In pratica, il margine tra quanto costa produrre e quanto viene pagato il prodotto si è assottigliato. E in alcuni casi si è trasformato in margine negativo.
Quando i costi corrono e i prezzi arrancano, il reddito agricolo diventa fragile.
Le conseguenze sono concrete:
meno risorse disponibili per gli investimenti;
più difficoltà a sostenere nuove rate o a rinnovare i mezzi;
maggior fatica a reggere anche brevi periodi di crisi di mercato;
più incertezza nel programmare il passaggio generazionale.
Molti imprenditori agricoli si trovano a fare conti dettagliati su ogni spesa: rinviare una manutenzione, posticipare l’acquisto di una macchina, ridimensionare un progetto che fino a poco fa sembrava alla portata.
In pratica: si lavora tanto, si investe tanto, ma la sensazione è che il risultato economico non rispecchi lo sforzo.
Nel percorso verso il 18 dicembre, il nodo del reddito non è un capitolo a parte: è il filo che lega tutti gli altri temi.
Se si parla di tagli alla PAC, il rischio è togliere strumenti che oggi aiutano a stabilizzare la situazione economica delle aziende.
Se si parla di accordi commerciali, il timore è che prodotti a basso costo comprimano ancora di più i prezzi alla produzione.
Se si parla di burocrazia, ogni ora persa sui documenti è tempo sottratto alla gestione tecnica che potrebbe migliorare efficienza e risultati.
Gli agricoltori che andranno a Bruxelles non chiedono soluzioni miracolose, ma ricordano un punto essenziale: senza un reddito adeguato, nessuna azienda può reggere a lungo, per quanto sia efficiente e ben gestita.
C’è poi un altro aspetto: il ricambio generazionale.
Per convincere un giovane a entrare in azienda o a subentrare ai genitori non basta raccontare la bellezza del mestiere. Servono anche:
prospettive di reddito dignitose;
la possibilità di fare investimenti e di innovare;
la sensazione che i sacrifici possano portare a una stabilità economica.
Se i margini restano troppo stretti, è difficile chiedere a un ragazzo o a una ragazza di legare il proprio futuro a un’attività che non offre sufficiente sicurezza.
Per Libera Associazione Agricoltori Cremonesi, mettere al centro il tema del reddito significa guardare in faccia la realtà delle aziende del territorio.
Le imprese di latte, carne, seminativi, energia rinnovabile della provincia di Cremona hanno dimostrato negli anni di saper investire, innovare e migliorare costantemente i propri standard.
Quello che chiedono è che questi sforzi vengano messi nelle condizioni di reggere economicamente: un’agricoltura che non riesce a generare reddito sufficiente non può essere sostenibile, né per le famiglie, né per i giovani, né per il territorio.
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