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Europa e agricoltura
08.12.2025 - 04:34
Se stai pensando se cambiare trattore, rifare la stalla o investire in un nuovo impianto, quello che succede a Bruxelles ti riguarda più di quanto sembri.
Oltre al tema dei tagli, nel confronto sulla nuova PAC è spuntata un’altra parola chiave: rinazionalizzazione.
Tradotto: meno scelte comuni per tutti, più spazio ai singoli governi nazionali. In pratica l’agricoltura rischia di diventare una politica “a 27 velocità”, invece che una vera politica europea.
Dietro il termine complicato c’è un’idea abbastanza semplice:
Bruxelles decide meno;
i singoli Stati decidono di più su come usare una parte delle risorse;
regole e sostegni possono cambiare parecchio da Paese a Paese.
Oggi la PAC cerca di tenere insieme gli agricoltori europei con un quadro comune: stessi principi di base, strumenti simili, un budget deciso a livello UE.
Con una PAC più “nazionale”, la fotografia potrebbe essere questa: Francia, Germania, Italia, Spagna e gli altri 23 Paesi con schemi di aiuto diversi, intensità di sostegno diverse, priorità diverse.
Per chi lavora la terra questo vuol dire una cosa sola: non tutti gli agricoltori europei partirebbero più dalla stessa linea.
Proviamo a metterla sul concreto.
Se una parte importante delle decisioni passa agli Stati membri, per un’azienda agricola può significare:
Pagamenti diretti diversi: importi, criteri di accesso, condizioni possono allontanarsi tra un Paese e l’altro.
Misure di sviluppo rurale meno omogenee: un vicino europeo potrebbe avere più strumenti per investire in stalle, macchine, energie rinnovabili.
Regole che cambiano più spesso: più mano nazionale può voler dire più modifiche nel giro di pochi anni, quindi meno certezze per pianificare investimenti che durano decenni.
In un mercato dove latte, carne, cereali si muovono liberamente da uno Stato all’altro, ritrovarsi con sostegni diversi e costi simili è un problema serio di competitività.
Il mercato unico, sulla carta, mette tutti sullo stesso campo da gioco: stessi standard, libera circolazione delle merci, concorrenza regolata.
Se però mentre il latte viaggia, i sostegni agli allevatori non viaggiano allo stesso modo, si crea uno squilibrio:
chi ha alle spalle uno Stato che investe di più nel settore agricolo parte avvantaggiato;
chi ha meno margini di bilancio nazionale rischia di restare indietro, pur dovendo rispettare le stesse regole ambientali, sanitarie, di benessere animale.
Per le imprese della Pianura Padana – che già lavorano con costi alti e standard molto rigidi – una PAC “spezzettata” può tradursi in più concorrenza interna e in margini ancora più stretti.
L’agricoltura italiana è fatta di tante filiere e territori diversi: pianura, collina, montagna; latte, carne, cereali, ortofrutta, colture industriali.
In questo mosaico, una PAC meno comune e più nazionale potrebbe voler dire:
più fatica a trovare un equilibrio tra aree e settori diversi;
più difficoltà a garantire continuità ai programmi di investimento;
maggiore incertezza per chi deve decidere se passare o meno il testimone ai giovani.
Per una provincia come Cremona, dove agricoltura e zootecnia sono parte dell’identità economica e sociale, la domanda è molto concreta: avremo uno strumento europeo che ci tiene agganciati agli altri Paesi o dovremo contare soprattutto sulle forze nazionali?
Il 18 dicembre, accanto al tema delle risorse, gli agricoltori porteranno a Bruxelles anche questo messaggio:
l’agricoltura deve restare una vera politica comune europea;
servono regole semplici e stabili, uguali per tutti;
le differenze tra Paesi non devono trasformarsi in ingiustizie tra imprese che competono nello stesso mercato.
Confagricoltura, insieme alle altre organizzazioni europee, chiede che la futura PAC non diventi una somma di politiche nazionali, ma rimanga uno strumento condiviso, capace di dare certezze a chi produce cibo ogni giorno.
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