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Biogas, biometano e bioeconomia: l’Italia che trasforma gli scarti in energia (e il ruolo di Cremona)

Dai reflui zootecnici ai residui di lavorazione: come biogas e biometano stanno cambiando il profilo energetico dell’agricoltura, perché l’Italia è tra i Paesi più avanzati in Europa e in che modo territori come Cremona possono diventare esempi concreti di bioeconomia circolare

Biogas, biometano e bioeconomia: l’Italia che trasforma gli scarti in energia (e il ruolo di Cremona)

Biogas e biometano: come funzionano (in parole semplici)

Alla base ci sono processi naturali: la digestione anaerobica trasforma sostanza organica (reflui, letami, sottoprodotti agricoli, scarti agroindustriali) in:

  • biogas, una miscela di metano e anidride carbonica, utilizzabile per produrre energia elettrica e termica;
  • digestato, il residuo del processo, che può essere utilizzato come fertilizzante organico, se gestito correttamente.

Quando il biogas viene ulteriormente purificato (rimozione di CO₂ e altre impurità) si ottiene biometano, con caratteristiche molto simili al gas naturale, che può:

  • essere immesso nella rete del gas,
  • alimentare mezzi a metano/biometano,
  • essere usato in impianti di cogenerazione o per usi termici.

Il punto chiave è che, se basato su reflui e sottoprodotti, il biometano è un gas rinnovabile, con un bilancio di emissioni molto più favorevole rispetto al gas fossile.

Il ruolo dell’Italia in Europa

L’Italia è oggi considerata uno dei Paesi più avanzati per lo sviluppo del biogas agricolo e del biometano:

  • secondo dati recenti, ci sono circa 2.200 impianti biogas operativi, di cui circa l’80% nel settore agricolo, con una forte concentrazione nelle regioni della Pianura Padana;
  • i rapporti internazionali sulla bioenergia indicano che la produzione di biometano in Italia è passata da 9 milioni di metri cubi nel 2017 a circa 260 milioni di metri cubi nel 2023, con una crescita sostenuta e obiettivi ulteriori legati anche alle risorse del PNRR.

Questi numeri inseriscono il Paese in una posizione di rilievo nella strategia europea di aumento della quota di gas rinnovabili e di riduzione delle emissioni nel settore energetico e nei trasporti.

Bioeconomia: dall’agricoltura alla filiera circolare

Il biogas agricolo non è solo una questione energetica: è uno dei tasselli della bioeconomia, cioè l’insieme delle attività che utilizzano risorse biologiche rinnovabili – provenienti da agricoltura, allevamento, foreste, pesca e acquacoltura – per produrre cibo, mangimi, materiali, chimica verde ed energia.

La bioeconomia italiana è tra le più importanti in Europa, con un fatturato stimato di circa 330–380 miliardi di euro e milioni di posti di lavoro lungo la filiera agroalimentare, del legno, della carta, delle biotecnologie e dell’energia da biomasse.

In questo quadro, biogas e biometano agricoli rappresentano:

  • una valorizzazione degli scarti (reflui, residui, sottoprodotti);
  • una riduzione del ricorso a fertilizzanti chimici, grazie all’uso del digestato;
  • una fonte di reddito aggiuntivo per le aziende, se inserita in un modello tecnico ed economico ben progettato.

Lombardia e Pianura Padana: reflui che diventano risorsa

Le regioni della Pianura Padana, Lombardia in testa, sono caratterizzate da:

  • forte densità di allevamenti bovini e suini;
  • colture foraggere e cerealicole di supporto alle filiere zootecniche;
  • presenza di molte realtà agroindustriali.

Non sorprende, quindi, che una quota molto rilevante degli impianti biogas e biometano italiani sia localizzata proprio in quest’area, dove reflui zootecnici e residui agricoli vengono sempre più spesso trattati come materie prime per produrre energia rinnovabile, oltre che come materiali da gestire nel rispetto delle norme ambientali. 

Progetti recenti in Lombardia puntano proprio alla produzione di biometano avanzato da reflui e scarti, con l’obiettivo di ridurre le emissioni, migliorare la gestione dei nutrienti e generare nuove entrate per le aziende coinvolte. 

Cremona: quando la cascina diventa una piccola centrale (senza smettere di fare latte e formaggio)

Il territorio cremonese, storicamente legato alla zootecnia da latte e alle grandi filiere casearie, è uno dei luoghi dove questa trasformazione è più visibile.

Alcuni esempi, tratti da casi reali:

  • aziende agricole che hanno installato impianti biogas da 300 kW alimentati da reflui zootecnici e insilati, con soluzioni tecniche dedicate alla miscelazione e all’alimentazione del digestore;
  • realtà in cui la produzione di biogas viene trasformata, tramite impianti di upgrading, in biometano immesso direttamente in rete: è il caso dell’impianto di Cella Dati, dove la tecnologia installata consente di trattare circa 1.000 Nm³/ora di biogas e produrre biometano per la rete del gas.
  • aziende come la Nolli, in provincia di Cremona, che hanno scelto di integrare un cogeneratore ad alta efficienza alimentato a biogas per coprire parte dei fabbisogni energetici aziendali, ottimizzando l’uso dei reflui e supportando la produzione di latte per formaggi DOP.

Parliamo di cascine che continuano a fare il loro mestiere principale – produrre latte, carne, colture – ma che al tempo stesso sono diventate piccole centrali energetiche rinnovabili, con un ruolo attivo nella riduzione delle emissioni e nella stabilità del sistema elettrico e del gas.

Biogasdoneright™: quando la bioenergia si integra con il sistema colturale

Un aspetto importante, soprattutto in un Paese a forte vocazione alimentare come l’Italia, è evitare la competizione tra colture per il cibo e colture per l’energia.

In questo senso, l’esperienza Biogasdoneright™ – sviluppata da un gruppo di oltre 600 agricoltori italiani riuniti nel Consorzio Italiano Biogas – è spesso citata come modello: sequenze colturali e tecniche agronomiche che permettono di:

  • produrre cibo e bioenergia contemporaneamente;
  • utilizzare periodi in cui il terreno resterebbe nudo per colture di secondo raccolto destinate al biogas;
  • migliorare la fertilità del suolo e ridurre l’erosione.

L’idea di fondo è che il biogas agricolo non debba essere visto come un’attività “separata”, ma come una componente integrata del sistema aziendale, capace di valorizzare i momenti morti e gli scarti, anziché sottrarre superfici alle produzioni alimentari.

Opportunità e condizioni per gli agricoltori

Per un’azienda agricola o zootecnica, biogas e biometano rappresentano:

  • la possibilità di stabilizzare il reddito, affiancando alle entrate tradizionali (latte, carne, cereali) un flusso legato all’energia;
  • uno strumento per gestire meglio reflui e sottoprodotti, inquadrandoli in un processo controllato;
  • l’opportunità di ridurre l’acquisto di energia esterna, soprattutto se il calore e/o l’elettricità vengono utilizzati in azienda.

Ma la convenienza e la sostenibilità di un impianto dipendono da vari fattori:

  • dimensione e tipologia di allevamento/colture;
  • disponibilità costante di reflui e sottoprodotti;
  • presenza di filiere territoriali (consorzi, cooperative, reti di imprese);
  • quadro normativo e incentivi, in continua evoluzione.

È quindi fondamentale che ogni progetto sia:

  • supportato da studi tecnici ed economici solidi,
  • inserito in una logica di bioeconomia circolare (priorità a reflui e scarti, uso corretto del digestato),
  • valutato anche per gli effetti su suolo, acqua, aria e comunità locali.

Tre domande da farsi prima di pensare a un impianto

  1. Che cosa posso realmente alimentare? Ho reflui e sottoprodotti sufficienti e costanti nel tempo, o dovrei ricorrere a colture dedicate?
  2. Con chi posso fare rete? Ci sono altre aziende, cooperative, consorzi con cui condividere investimenti, competenze e rischi?
  3. Come si integra con l’azienda di oggi e di domani? L’impianto mi aiuta a valorizzare ciò che già faccio – allevamento, colture, trasformazione – o mi porta fuori dal mio mestiere principale?

In sintesi, biogas, biometano e bioeconomia non sono slogan, ma strumenti concreti che stanno già modificando il modo di pensare l’agricoltura italiana. Territori come Cremona, dove convivono grandi filiere agroalimentari, allevamenti specializzati e un crescente numero di impianti, possono diventare laboratori reali di un’agricoltura capace di produrre cibo, energia e servizi ambientali, mantenendo al centro il lavoro degli agricoltori e degli allevatori.

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