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Terra e futuro
03.12.2025 - 06:30
In Italia l’agricoltura non è più solo trattore, stalla e calendario delle stagioni.
Nei campi e nelle aziende zootecniche entrano tablet, sensori, software di analisi dati, impianti di biogas e biometano. Insieme alle tecnologie, stanno nascendo nuovi mestieri della terra, spesso pensati e guidati da giovani.
Secondo il Rapporto 2024 «Giovani e agricoltura» di Ismea, le aziende agricole condotte da under 35 sono circa il 7,5% del totale, ma generano circa il 15% del valore economico del settore: sono realtà mediamente più strutturate e più orientate a innovazione, multifunzionalità e sostenibilità.
Non è un caso: la generazione cresciuta con internet in tasca porta in azienda la stessa familiarità con le tecnologie che usa ogni giorno. Ed è qui che nascono i «nuovi mestieri della terra».
I rapporti Ismea e le analisi sull’Agricoltura 4.0 mostrano due tendenze chiare:
l’età media del settore resta alta,
ma le imprese guidate da giovani sono più digitali, più formate e più aperte alle energie rinnovabili.
L’Osservatorio Smart Agrifood stima un mercato italiano dell’agricoltura 4.0 che vale oltre 2 miliardi di euro, trainato da soluzioni digitali basate su dati, sensori, software di gestione aziendale e sistemi di supporto alle decisioni.
Parallelamente, diversi studi e articoli specializzati segnalano la nascita di nuove figure come:
data analyst agricoli,
green manager e biodiversity champion,
specialisti in agricoltura di precisione,
agrifood data analyst, dronisti, agrinfluencer.
Dietro queste etichette, però, ci sono lavori molto concreti, che servono davvero alle aziende.
La stalla di oggi non è fatta solo di mangiatoie e secchi. È un ambiente dove si raccolgono in automatico dati su:
produzione giornaliera di latte di ogni singolo animale,
qualità del latte,
passi, rumine, temperatura,
consumo di mangimi, acqua ed energia.
Collari intelligenti, sensori e software registrano tutto in tempo reale.
Il data analyst di stalla è la figura che:
scarica e legge questi dati,
individua anomalie (un calo improvviso di produzione, un animale che si muove meno),
incrocia le informazioni su alimentazione, riproduzione, benessere,
aiuta allevatore, veterinario e agronomo a prendere decisioni più precise.
Non sostituisce l’occhio esperto dell’allevatore: lo potenzia.
Risultato? Meno sprechi, uso più mirato dei farmaci, interventi più tempestivi sui problemi sanitari e gestionali.
Spesso è:
un giovane che rientra in azienda di famiglia con una formazione in agraria + competenze digitali,
oppure un tecnico esterno che segue più stalle, magari in rete con cooperative e consulenti.
L’agronomo digitale è l’evoluzione dell’agronomo «classico».
Lavora sempre su rotazioni, difesa delle colture, fertilizzazione, ma integra:
immagini satellitari e droni per vedere lo stato delle colture dall’alto,
mappe di vigore vegetativo, umidità del suolo, carenze nutrizionali,
stazioni meteo intelligenti che aggiornano i dati continuamente,
software di supporto alle decisioni per irrigazione e difesa fitosanitaria.
In pratica:
invece di fare un unico trattamento su tutto il campo, può intervenire solo dove serve;
invece di irrigare «a sentimento», può calcolare quanta acqua usare e quando;
può aiutare l’azienda a rispettare le norme ambientali e gli eco-schemi della PAC con dati oggettivi.
Per i giovani con lauree in agraria, scienze ambientali, ingegneria del territorio, è un lavoro che unisce:
tempo in campo (le scarpe sporche restano fondamentali),
analisi dati e strumenti digitali,
capacità di tradurre i numeri in scelte comprensibili e convenienti per l’imprenditore agricolo.
Un’altra grande frontiera occupazionale riguarda le energie rinnovabili in azienda agricola: biogas, biometano, agrivoltaico.
L’Italia è tra i Paesi europei più avanzati nel biogas agricolo e sta potenziando il biometano: i rapporti su bioeconomia e filiere agroenergetiche descrivono una rete crescente di impianti che trasformano reflui zootecnici e residui colturali in energia ed energia rinnovabile immessa in rete.
In questo scenario il tecnico del biogas/biometano:
gestisce il digestore (carico biomasse, controlli di processo),
segue la manutenzione dell’impianto,
monitora rese, consumi, emissioni,
si interfaccia con i fornitori di tecnologia e con gli enti di controllo.
È una figura a metà tra mondo agricolo ed energetico:
deve conoscere reflui zootecnici, insilati, rotazioni colturali,
ma anche impianti, automazione, sistemi di supervisione, parametri chimico–fisici.
Per i giovani con diplomi tecnici, lauree in ingegneria, scienze ambientali o percorsi meccanico/elettrici, è una porta d’ingresso concreta nel mondo delle rinnovabili legate alla terra, con profili professionali molto richiesti nelle aree rurali più specializzate.
Accanto a queste figure «di frontiera», diversi osservatori e realtà formative segnalano altri profili emergenti:
agrifood data analyst,
green manager e consulenti per la sostenibilità,
biodiversity champion,
specialisti IoT, blockchain e tracciabilità,
agrinfluencer e comunicatori digitali del mondo rurale.
In molti casi non sono lavori separati, ma competenze che si sommano nella stessa persona: il giovane titolare che è un po’ agricoltore, un po’ tecnico, un po’ comunicatore.
I dati Ismea mostrano che le imprese giovanili italiane hanno livelli di produttività e valore per ettaro superiori alla media, anche grazie a:
maggiore specializzazione in colture ad elevato valore aggiunto,
multifunzionalità (agriturismo, trasformazione, vendita diretta),
uso più diffuso di strumenti digitali e innovativi.
In sintesi: non lavorano solo di più, lavorano in modo diverso.
Per un giovane che guarda al futuro, l’agricoltura oggi può essere molto più di un «ripiego»:
è un settore dove mettere insieme competenze tecniche, digitali, scientifiche e il legame con una terra che produce cibo, lavoro e paesaggio.
Nei territori come Cremona e la Pianura Padana, dove convivono:
zootecnia di alto livello,
grandi filiere lattiero–casearie,
impianti di biogas e biometano,
imprese che sperimentano agricoltura di precisione e agritech,
i nuovi mestieri della terra non cambiano l’identità di chi lavora nei campi e nelle stalle: la rafforzano.
L’agricoltore, l’allevatore, il tecnico di stalla restano al centro della scena.
Intorno a loro crescono competenze nuove – digitali, energetiche, ambientali, gestionali – che permettono alle aziende di essere più solide, più competitive e più capaci di prendersi cura del territorio.
In questo senso i nuovi mestieri della terra non sostituiscono chi c’è sempre stato, ma costruiscono un ponte tra generazioni:
da una parte l’esperienza di chi ha fatto grande l’agricoltura cremonese e italiana,
dall’altra l’energia e le idee dei giovani che portano in azienda dati, tecnologie, lingue straniere, comunicazione.
È da questo incontro che può nascere il vero futuro del settore:
un’agricoltura che continua a produrre cibo di qualità, ma che allo stesso tempo genera energia, innovazione e opportunità per i ragazzi e le ragazze che scelgono di restare – o di tornare – alla terra.
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