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Europa e mercati
09.12.2025 - 00:15
Se sei un agricoltore europeo, oggi ti viene chiesto di fare sempre di più: ridurre gli input, rispettare standard ambientali più severi, investire in benessere animale, digitale, energia.
Allo stesso tempo però l’Unione Europea continua a trattare e firmare accordi commerciali con Paesi extra UE, che permettono di importare prodotti agricoli da realtà dove i costi sono più bassi e le regole spesso meno rigide.
È qui che nasce una delle richieste più forti degli agricoltori, in vista del 18 dicembre a Bruxelles: non stiamo chiedendo di chiudere i confini, ma di avere stesse regole per tutti.
Negli ultimi anni l’UE ha firmato o negoziato diversi accordi di libero scambio con altre aree del mondo. Uno dei più discussi in campo agricolo è quello con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay).
Nel concreto, questi accordi prevedono:
riduzione o azzeramento dei dazi su una serie di prodotti;
aumento delle quote di importazione (per esempio carni, zucchero, etanolo, alcune colture);
più facilità per i prodotti di quei Paesi ad entrare nel mercato europeo.
Per l’industria e alcuni settori questo può essere un vantaggio. Per molte filiere agricole europee, invece, significa trovarsi a competere con produzioni che arrivano da contesti dove:
il costo del lavoro è molto più basso;
gli standard su fitofarmaci, ambiente e benessere animale sono meno rigidi;
le regole sui controlli sono diverse.
Il punto che agricoltori e organizzazioni come Confagricoltura mettono sul tavolo è semplice:
se io devo rispettare regole più severe per produrre, ma sullo scaffale entra anche chi produce con meno vincoli e a costi più bassi, la partita non è ad armi pari.
Nessuno chiede di chiudere i mercati. Quello che il settore agricolo domanda è reciprocità:
stessi requisiti sanitari;
stessi standard ambientali e sul benessere animale;
stessi limiti sull’uso di principi attivi;
tracciabilità e controlli reali sulle merci che entrano.
In assenza di reciprocità, il rischio è duplice:
pressione sui prezzi alla produzione, perché prodotti importati a basso costo tirano verso il basso il mercato;
delocalizzazione “al contrario”, dove conviene produrre fuori Europa e poi rientrare tramite gli accordi.
Per un’azienda agricola della Pianura Padana il paradosso è evidente:
da un lato investe in benessere animale, riduzione degli impatti, strutture più moderne;
dall’altro si trova a competere con prodotti che arrivano da Paesi dove quelle stesse regole non valgono oppure sono molto più leggere.
È come chiedere a qualcuno di correre con un peso sulle spalle, mentre ad altri si permette di correre senza zavorra sulla stessa pista.
Per chi ogni giorno alza la serranda di una stalla o sale su un trattore, questo si traduce in una domanda molto concreta: ha senso chiedermi di fare sempre di più se poi non si tutela chi rispetta le regole?
In vista del 18 dicembre, il mondo agricolo non si oppone in blocco agli accordi internazionali. Chiede però che siano guidati da alcuni principi chiari:
niente accordi “a ogni costo”, se mettono in ginocchio intere filiere agricole europee;
introduzione di clausole di reciprocità: chi entra nel mercato UE deve rispettare standard simili a quelli richiesti ai produttori europei;
più controlli alle frontiere su qualità, tracciabilità, residui;
possibilità di attivare, se necessario, clausole di salvaguardia per proteggere i settori più esposti.
È un modo per dire: l’Europa può e deve dialogare con il resto del mondo, ma non può farlo scaricando il peso della concorrenza sui soli agricoltori.
La discussione sugli accordi commerciali arriva proprio mentre, a Bruxelles, si parla di tagliare le risorse della PAC e di cambiare la sua impostazione.
Meno sostegni e più importazioni a basso costo è una combinazione che, per molte imprese, rischia di essere insostenibile.
Per questo, nella mobilitazione del 18 dicembre, si lega il tema PAC al tema accordi e reciprocità: non sono due discussioni separate, ma due facce della stessa medaglia. Da una parte si decide quanto l’Europa investe sul proprio sistema agricolo, dall’altra con chi e come apre il proprio mercato.
Per Libera Associazione Agricoltori Cremonesi, spiegare il nodo della reciprocità significa dare voce a una preoccupazione molto concreta delle aziende del territorio:
chi produce latte, carne, cereali, energia da fonti rinnovabili in provincia di Cremona lo fa dentro uno dei contesti normativi più severi d’Europa;
è giusto che questa scelta di qualità non diventi un handicap competitivo rispetto ai prodotti che arrivano da fuori.
Raccontare queste dinamiche con parole semplici è anche un modo per aiutare i cittadini a capire che, dietro a una bottiglia di latte o a una fetta di formaggio, ci sono regole, costi e scelte che non possono essere ignorate quando si negoziano gli accordi internazionali.
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