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Verso Bruxelles
12.12.2025 - 00:23
Negli ultimi anni abbiamo imparato quanto possono essere fragili le filiere globali. Una crisi internazionale, un conflitto, un blocco dei trasporti e, all’improvviso, alcune merci iniziano a scarseggiare o a rincarare.
Nel dibattito sul futuro della PAC e del bilancio europeo, gli agricoltori lo ricordano con una frase semplice: senza un’agricoltura forte, non esiste sicurezza alimentare.
Non si tratta solo di difendere il reddito di categoria, ma di decidere se l’Europa vuole continuare a produrre il proprio cibo o preferisce dipendere sempre di più dalle importazioni.
Per sicurezza alimentare non si intende solo la qualità sanitaria dei prodotti, ma un insieme di elementi:
disponibilità di cibo in quantità sufficiente;
continuità delle forniture, anche in periodi di crisi;
qualità e standard elevati su controlli, tracciabilità, benessere animale;
prezzi il più possibile stabili per consumatori e filiere.
L’agricoltura è il primo anello di questa catena.
Se il primo anello si indebolisce, tutta la filiera diventa più vulnerabile.
Si parla spesso di settori “strategici”: energia, difesa, digitale.
L’agricoltura, però, ha una particolarità: riguarda ogni persona, ogni giorno, attraverso ciò che trova nel piatto.
Considerarla strategica significa:
garantirle risorse adeguate nei bilanci;
darle regole stabili per programmare;
proteggerla da scelte che, nel lungo periodo, ne minano la capacità produttiva;
ricordare che senza chi lavora la terra non c’è sicurezza alimentare, né presidio del territorio rurale.
Per questo molti agricoltori chiedono che, nel definire le priorità del prossimo bilancio UE, l’agricoltura venga messa sullo stesso piano di altri grandi dossier.
La combinazione di tagli alla PAC, maggiore concorrenza da Paesi extra UE e regole sempre più impegnative per chi produce in Europa può portare a un risultato pericoloso:
una parte delle produzioni europee si riduce, perché le aziende faticano a reggere;
cresce la quota di cibo importato da fuori UE;
aumenta la dipendenza dell’Europa da filiere lontane, su cui si controlla meno.
Nel breve periodo può sembrare un problema marginale. Nel lungo periodo significa perdere capacità produttiva interna e affidare la sicurezza alimentare a decisioni, crisi e politiche di altri.
L’agricoltura non è solo produzione.
In una provincia come Cremona, significa anche:
presidio del territorio contro abbandono e degrado;
manutenzione del paesaggio agrario e della rete irrigua;
lavoro per migliaia di famiglie;
filiere collegate: trasformazione, servizi, trasporti, meccanica agricola, energie rinnovabili.
Indebolire il settore primario non significa solo cambiare qualche riga di bilancio, ma toccare un pezzo importante della struttura economica e sociale dei territori.
Nel percorso verso il 18 dicembre, il messaggio che gli agricoltori vogliono mandare alle istituzioni europee è chiaro:
trattare l’agricoltura come un pilastro della sicurezza europea, al pari dell’energia;
evitare politiche che la rendano strutturalmente più debole;
garantire alla PAC risorse sufficienti e una visione di lungo periodo;
mettere in coerenza gli obiettivi ambientali con la necessità di mantenere una produzione agricola forte e competitiva.
Non si chiede protezionismo, ma una scelta di campo: investire sul proprio sistema agricolo invece di darlo per scontato.
Per Libera Associazione Agricoltori Cremonesi, parlare di sicurezza alimentare significa parlare anche del ruolo che le aziende agricole del territorio svolgono ogni giorno:
produrre cibo sicuro e di qualità;
mantenere vivo un tessuto economico fatto di imprese, cooperative, lavoratori;
presidiare un territorio che, senza agricoltura, perderebbe identità e funzioni.
Ricordare questo legame è fondamentale, soprattutto quando le decisioni si spostano a Bruxelles: dietro a ogni riga di bilancio ci sono aziende reali, famiglie, comunità, e il cibo che arriva sulle nostre tavole.
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