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Verso Bruxelles
13.12.2025 - 06:11
In molte aziende agricole, soprattutto a conduzione familiare, la domanda è sempre la stessa: “Chi verrà dopo di noi?”
Ci sono figli e figlie che già lavorano in stalla o sui campi, altri che danno una mano quando possono, qualcuno che guarda all’azienda con interesse ma anche con timore: reddito incerto, impegni continui, responsabilità grandi.
Nel percorso verso il 18 dicembre, il tema dei giovani agricoltori non è un capitolo a parte: è il punto che tiene insieme tutto il resto. Se il lavoro nei campi non è sostenibile dal punto di vista economico e umano, diventa difficile chiedere alle nuove generazioni di legare a questa attività il proprio futuro.
Chi oggi sta pensando di subentrare ai genitori in azienda agricola si trova davanti a un quadro complesso:
costi alti per energia, mangimi, fertilizzanti, macchine e strutture;
prezzi spesso instabili, che non sempre coprono gli aumenti dei costi;
burocrazia pesante, che richiede tempo e competenze;
regole che cambiano spesso, anche a livello europeo;
investimenti importanti da programmare su orizzonti lunghi.
A tutto questo si aggiunge una domanda personale:
“Fra cinque, dieci anni, questa azienda mi permetterà di vivere in modo dignitoso e di far crescere una famiglia?”
Se la risposta è troppo incerta, è normale che molti giovani facciano fatica a dire “sì, resto”.
Eppure, proprio i giovani sono una delle risorse più importanti per il futuro dell’agricoltura.
Portano in azienda:
nuove competenze digitali e gestionali;
maggiore familiarità con tecnologie 4.0, dati, software;
una sensibilità diversa verso comunicazione, sostenibilità, filiere corte;
idee per diversificare: agriturismo, trasformazione, vendita diretta, energie rinnovabili.
Il punto non è solo “come convincerli a restare”, ma come metterli nelle condizioni di lavorare bene, senza partire svantaggiati.
Può sembrare lontano, ma molte delle scelte che si stanno discutendo a Bruxelles avranno effetti diretti sulle decisioni dei giovani:
una PAC più debole, con meno strumenti di sostegno, significa più rischio sulle spalle delle aziende;
una politica agricola “a più velocità” può creare differenze nei sostegni tra Paesi, influenzando la competitività;
una burocrazia eccessiva può diventare un freno alle energie nuove;
accordi commerciali sbilanciati possono spingere verso il basso i prezzi alla produzione.
In sintesi: se le regole del gioco rendono l’attività troppo fragile, sarà sempre più difficile proporla come scelta di vita alle nuove generazioni.
Nel confronto con le istituzioni europee, molti agricoltori e le loro organizzazioni chiedono:
un quadro di regole stabile, che permetta di programmare investimenti e passaggi generazionali;
strumenti specifici di sostegno ai giovani imprenditori agricoli, non solo in fase di insediamento;
una PAC che resti davvero comune, per evitare distorsioni tra Paesi;
meno burocrazia e procedure pensate anche per chi sta iniziando, non solo per chi è in azienda da decenni;
politiche di reddito che consentano agli agricoltori di essere pagati il giusto per ciò che producono.
Non si tratta di chiedere corsie preferenziali, ma di evitare che chi parte oggi sia costretto a farlo in salita ripida.
Anche nella realtà di Libera, molti giovani stanno già lavorando in azienda:
c’è chi si occupa di gestione tecnica e dati;
chi segue i rapporti con fornitori, clienti, trasformatori;
chi sperimenta nuove forme di vendita e comunicazione;
chi sta affrontando in prima persona il passaggio generazionale.
Raccontare le loro storie e le loro difficoltà significa ricordare che il futuro dell’agricoltura non è un concetto astratto: ha un volto, un nome, spesso il cognome delle famiglie che da generazioni tengono in piedi le aziende.
La difesa del reddito, la richiesta di regole più semplici, il no a un’agricoltura a più velocità non sono battaglie solo per chi è in azienda oggi: sono battaglie per chi potrebbe esserci domani.
In vista del 18 dicembre, ricordare che “il futuro dell’agricoltura è in mano ai giovani” vuole essere un modo per dire alle istituzioni: ogni scelta sulla PAC e sul bilancio UE deve tenere conto di chi dovrà portare avanti questo lavoro nei prossimi decenni.
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