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Verso Bruxelles
15.12.2025 - 02:23
A tre giorni da Bruxelles, il messaggio del mondo agricolo – e di Confagricoltura in particolare – si può riassumere in cinque punti fermi: risorse, regole, reciprocità, reddito, rispetto.
Sono le condizioni minime sulla nuova PAC e sul futuro dell’agricoltura europea: non richieste di privilegio, ma basi indispensabili per poter continuare a lavorare e investire.
Il primo punto fermo riguarda le risorse.
L’ipotesi di ridurre ulteriormente il bilancio destinato all’agricoltura preoccupa profondamente gli imprenditori agricoli. La PAC non è un capitolo qualsiasi: serve a:
stabilizzare il reddito delle aziende in un contesto di mercati volatili;
sostenere gli investimenti in innovazione, benessere animale, sostenibilità;
accompagnare il ricambio generazionale;
gestire crisi e rischi legati a clima, mercati e costi di produzione.
Tagliare la PAC significa chiedere alle imprese agricole di fare sempre di più con strumenti sempre più deboli.
Per questo la richiesta è chiara: no a nuovi tagli, sì a un bilancio che riconosca il ruolo strategico dell’agricoltura.
Il secondo punto fermo riguarda le regole.
Affidare sempre più scelte ai singoli Stati, riducendo il ruolo comune dell’Unione, rischia di trasformare la PAC in 27 politiche diverse, con:
sostegni differenti da Paese a Paese;
condizioni di accesso non omogenee;
distorsioni di concorrenza dentro lo stesso mercato unico.
Gli agricoltori chiedono che l’agricoltura resti una vera politica comune europea, con regole di base condivise e un livello di sostegni che non dipenda solo dalla forza di bilancio dei singoli Stati.
In pratica: stesso campo di gioco per tutti, non una corsa a chi può permettersi di aiutare di più i propri produttori.
Il terzo punto fermo è la reciprocità.
Mentre si discutono tagli alla PAC, prosegue il negoziato su accordi commerciali con Paesi extra UE. Nulla in contrario agli scambi, ma gli agricoltori chiedono una condizione molto semplice: se un prodotto agricolo entra nel mercato europeo, deve rispettare le stesse regole richieste a chi produce in Europa.
Si parla di:
standard ambientali;
vincoli sull’uso dei fitofarmaci;
norme su benessere animale;
controlli, tracciabilità e sicurezza alimentare.
Senza reciprocità, chi lavora in UE si trova a competere con chi produce con meno vincoli e costi più bassi, pur vendendo sullo stesso mercato. Per questo Confagricoltura e il mondo agricolo insistono: scambi sì, ma con condizioni e controlli che garantiscano concorrenza leale.
Il quarto punto fermo è il reddito.
Negli ultimi anni i costi di produzione sono aumentati in modo evidente (energia, mangimi, fertilizzanti, lavoro, finanziamenti), mentre i prezzi riconosciuti alle aziende non sempre hanno tenuto il passo.
Il risultato è un reddito più fragile, che rende difficile:
programmare nuovi investimenti;
sostenere le rate di macchinari e strutture;
reggere i periodi di crisi di mercato;
convincere i giovani a restare in azienda.
Le politiche europee e nazionali devono tenere conto di questo dato di realtà: senza prezzi remunerativi e senza strumenti che stabilizzano il reddito, nessuna azienda agricola può reggere a lungo, per quanto efficiente e innovativa.
Il quinto punto fermo riguarda la semplificazione.
Negli ultimi anni, nonostante i tanti annunci, la sensazione di chi lavora è spesso opposta:
portali complessi;
adempimenti che si sommano;
regole che cambiano spesso;
dati richiesti più volte da uffici diversi.
Quello che gli agricoltori chiedono è una semplificazione vera:
norme chiare e stabili;
meno duplicazioni;
strumenti digitali che riducano davvero il tempo passato sulle pratiche;
controlli coordinati e mirati.
In sintesi: più tempo per lavorare in azienda, meno tempo speso a rincorrere la burocrazia.
A tre giorni da Bruxelles, i punti fermi di Confagricoltura e del mondo agricolo possono essere riassunti così:
risorse: no a nuovi tagli alla PAC;
regole: una politica agricola davvero comune, non a 27 velocità;
reciprocità: stessi standard per chi produce in Europa e per chi esporta verso l’UE;
reddito: prezzi remunerativi e strumenti validi per affrontare crisi e costi;
rispetto: meno burocrazia e più ascolto di chi nei campi ci lavora tutti i giorni.
Non sono dettagli, ma condizioni minime per permettere alle aziende agricole di continuare a fare il proprio mestiere: produrre cibo, presidiare il territorio, creare valore per l’economia e le comunità.
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